In gita al rifugio Monzino
Come si spiega ad un bambino che i ghiacciai sono “vivi”, si muovono verso il basso e allo stesso tempo si ritirano verso l’alto?
Ho la fortuna di vivere nei pressi di un museo naturale di Storia, di glaciologia e di alpinismo custoditi da un prezioso rifugista che ne conserva i segreti accogliendo i passanti prima delle loro ascensioni. Sto parlando del Rifugio Monzino e di Mauro.
Con mia figlia di 9 anni, due suoi amichetti di 8 e 6 e i rispettivi genitori decidiamo di far vivere ai piccoli due giorni alternativi tra le montagne. Risaliamo con tranquillità la Val Veny e ci incamminiamo sul sentiero che conduce al rifugio. Il percorso prevede anche alcuni tratti di via ferrata dove i bimbi saranno messi alla prova e responsabilizzati sul rispetto delle regole di comportamento. Si tirano uno con l’altro e non sembrano accusare la fatica. Le domande si moltiplicano ad ogni passo e la curiosità è a mille!
In poco più di 4 ore raggiungiamo la meta dove ci aspetta Mauro con una lauta merenda rigorosamente “fatta in casa”. Il pomeriggio lo passiamo a rilassarci (noi adulti) e a giocare all’aria aperta tra marmotte e camosci (i bambini a pila atomica)! Non manca certo l’occasione per ripassare qualche manovra di corda che fa bene anche ai grandi.
Il Sole cala e ci rintaniamo all’interno, vicino alla stufa a legna. Decido di cogliere l’occasione per intrattenere tutti, grandi e piccoli, con un aneddoto che accomuna Storia, scienza, cultura e curiosità. Intanto spieghiamo ai bambini che i ghiacciai si muovo, eccome se si muovono, solo non lo percepiamo.
Nel lontano 2003 due fuoriclasse dell’alpinismo dell’epoca, Patrik Berhault e Philippe Magnin, decisero di passare le loro “vacanze” invernali ai bivacchi Eccles a quota 3800m. Dal 10 febbraio al 4 marzo portarono a compimento uno dei più grandi concatenamenti invernali che la storia dell’alpinismo possa ricordare: in meno di un mese percorsero 16 vie tra le più dure delle Alpi sui versanti del Freney e del Brouillard del Monte Bianco. Durante il loro peregrinare, un giorno posarono un saccone di materiale sul tetto del bivacco per farlo asciugare. Siccome il loro operato suscitava molto scalpore non era insolito che durante il giorno alcuni velivoli passassero più o meno vicino alla loro dimora per curiosare o fotografare i due avventurieri. Quel maledetto giorno uno di questi fece cadere il saccone sul ghiacciaio del Brouillard fino a perdersi tra i crepacci. I due non sconvolti dall’accaduto, proseguirono le loro peripezie, e la leggenda narra che Berhault terminò l’impresa uscendo per Pilone Centrale con gli scarponi da sci alpinismo! (gli altri erano nel saccone, confermo)!
Nel 2017 Mauro, il gestore del rifugio Monzino, scrutando le linee del ghiacciaio con il binocolo avvistò qualcosa di colorato appena fuori dalla lingua terminale, a quota 2450m circa. In una passeggiata pomeridiana, incuriosito, andò a vedere ed effettivamente trovò un saccone rosso datato di parecchi anni addietro. Casualmente in quei giorni io salii in rifugio ed aprimmo il saccone insieme. C’erano lame di piccozze, un paio di scarponi, un libro scritto in francese, dei rullini di macchina fotografica, delle viti da ghiaccio moderne, una corda singola, un cordino da recupero, un paio di ramponi Camp (classici a 12 punte!), guanti, un sacco a pelo dell’Ajungilak, ecc….
Ma chi mai poteva aver perso un saccone con così tanto materiale dentro? Sembrava molto datato ma allo stesso tempo denotava una tecnica di salita estremamente moderna e futuristica in campo alpinistico.
Io sono molto appassionato di ghiaccio e misto e mi ricordavo di quell’impresa incredibile che compirono i due francesi nel 2003, e mi ricordavo che al tempo Patrik era sponsorizzato dalla Camp. Quale altro francese se non lui poteva avere un paio si ramponi Camp? Tutto tornava!
Contattai Philippe Magnin, suo grande amico e compagno di cordata. Compagno con cui condivise quell’avventura e, ahimé, con cui morì l’anno successivo sulla traversata Dom-Taschhorn. Philippe tornò su al rifugio in lacrime emozionato dal ritrovamento e dal ricordo. Recuperò alcune cose ma decise di lasciare il saccone in regalo al rifugio come pezzo di Storia.
In 14 anni il sacco ha percorso 1350m di dislivello all’interno del ghiacciaio, perso ad Eccles e ritrovato al Monzino: ecco spiegato l’arcano dei ghiacciai che si muovono verso il basso.
Ieri la Storia e oggi una breve gita con i bambini a vedere i luoghi del ritrovamento, ad ascoltare i rumori del ghiacciaio che si muove e a vedere come oltre a scendere verso il basso i ghiacciai si ritirano verso l’alto, lasciando morene detritiche dietro di loro. Due giorni di full immersion nella montagna e nel tempio dell’alpinismo.
Prossima tappa, appena crescono un pò, il colle dell’Innominata, luogo della tragica ritirata dal Pilone centrale del Freney di Bonatti & C.
Sarà divertente vedere l’espressione dell’insegnante di scienze quando chiederà loro di spiegare la formazione dei crepacci e la dinamica dei ghiacciai!!!!