La Rossa e la Nera – come i monti vedono l’uomo

2 September 2016

Riporto di seguito un breve racconto inviatomi da un lettore, che trovo interessante e pertinente al tema attuale della frequentazione sconsiderata in montagna, spunto per riflessioni più ampie.

La prima volta che ho visto la neve era il 1967/68 o giù di lì.

E’ stato amore a prima vista e da allora ho iniziato a sciare e tutte le Domeniche ero sulle piste da sci con mamma e papà.

Sono nato e vissuto a Milano fino a pochi anni fa e le piste da sci più vicine sono nel territorio lecchese: Piani di Bobbio, Piani di Artavaggio, Piani dei Resinelli. Ma la passione è cresciuta e le gite domenicale hanno iniziato a spostarsi in Val d’Aosta, in Valtellina e in Alto Adige.

Quella che all’inizio doveva essere una meta riservata alla stagione invernale non ci ha messo molto tempo a trasformarsi anche in una meta per le vacanze estive e così, all’inizio degli anni ’70, l’amore per la roccia la neve e il ghiaccio si è stabilmente inserito nel mio cuore.

Ho imparato a conoscere la selvaggia natura della Valle d’Aosta e la romantica natura delle Dolomiti; da una parte le alte cime perennemente innevate e sopra i 4000 e dall’altra gli sterminati pascoli erbosi estivi e le guglie rocciose che mi hanno sempre ricordato le guglie del Duomo della mia città.

Grazie ai miei genitori ho imparato a guardare all’insù, ad ascoltare i silenzi delle valli, a sentire il profumo dei pascoli estivi e delle pinete ed ho imparato a godere della fatica di aver camminato per ore e ore solo per raggiungere una meta. E il premio per aver raggiunto la meta era un panino con il salame e una coca-cola; uno spuntino veloce e poi di nuovo in piedi per la via del ritorno.

La sera, in albergo, si stava in compagnia e ascoltavo i racconti di chi viveva la montagna 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 e 365 giorni all’anno.

Quanto era diversa la loro vita rispetto alla nostra di cittadini; i bambini si alzavano 2 ore prima di me per scendere a valle e andare a scuola e i loro genitori si svegliavano un’ora prima ancora rispetto a loro per accudire il bestiame nella stalla. Io guardavo la TV mentre loro guardavano il tramonto sdraiati in un prato profumato; io andavo a giocare a calcio mentre loro si godevano le piste da sci o i boschi con i genitori e perennemente “ a cavallo della mia amata montagna”.

Crescevano insieme all’erba dei prati mentre io crescevo insieme ai grattacieli, loro sentivano il rumore della neve che cade silenziosa mentre io sentivo il rumore dello smog che si depositava anch’esso silenzioso (almeno in quello era simile alla neve).

Il tempo è passato ma le cose funzionano ancora così lontano dalle pianure.

Ma in tutto questo cosa fanno le montagne? Mi piace credere che anche le montagne vedano e sentano qualcosa di noi ma non ci siamo mai posti la domanda forse perché abbiamo un patrimonio genetico che ci certifica come essere intelligenti e che ci porta a credere di poter sapere tutto e di poter raggiungere ogni cosa che ci prefissiamo di raggiungere.

Ma non è così, la natura ci circonda e ci osserva; gli altri esseri viventi che popolano il pianeta ci osservano e ci studiano; studiano il modo di difendersi da noi, studiano il modo di attaccarci per difendersi, studiano il modo di farsi amare da noi, insomma siamo sempre sotto osservazione a nostra insaputa.

Ma ancora vediamo le montagne come forme inerti della natura, come roccia messa lì da milioni di anni da qualcuno che voleva creare qualcosa di panoramico da sfruttare, una forma di natura senza vita e senza anima.

E infatti noi giudichiamo le montagne belle o brutte, le deturpiamo ogni giorno e facciamo di tutto per prendercene possesso ferendola con chiodi, piccozze, ramponi e rifiuti. Ogni giorno manchiamo di rispetto verso questi baluardi silenti per poi disperarci ed accanirci verso di essi quando accadono tragedie che ci toccano da vicino.

Ma la loro anima in qualche modo la racconto inventandomi un colloquio tra 2 Signore delle nostre Alpi: l’Aiguille Noire de Peuterey e la Croda Rossa e che per comodità chiamerò “la Noire” e “la Rossa”.

La Noire: ciao Rossa oggi mi sento un po’ stanca sai? Gli umani continuano a considerarmi maledetta quando qualcuno di loro non riesce ad abbandonarmi per tornare a casa vivo dalla propria famiglia. Eppure io faccio di tutto per avvisarli: divento gelida i inverno per tenerli lontani dal pericolo dell’assideramento, ogni tanto scarico qualche sasso per ricordare loro che sono vecchia e non più forte e resistente come lo ero fino a 2 milioni di anni fa

La Rossa: vedi Nera, nessuno si ricorda che siamo qua da milioni di anni e da milioni di anni veniamo colpite dal vento, dal sole, dall’acqua e dal gelo 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 e 365 giorni all’anno. L’età si fa sentire ma io, come te, amo gli uomini e non voglio che succeda loro qualcosa. Quest’anno ho perso un pezzo di me stessa ma ho resistito finchè il sentiero sottostante fosse libero dai turisti prima di crollare in un fragoroso boato che ha spaventato tutta la valle; la stessa sorte è toccata a Cima Una in Val Fiscalina qualche anno fa.

La Nera: hai ragione Rossa, finchè l’età me lo permette cerco pure io di non arrecare danni ai passanti però mi pesa che qualcuno pensi che io mi diverta a mietere vittime; non sono io che chiedo di essere cavalcata nonostante ci sia in arrivo un temporale d’alta quota.

La Rossa: entrambe sappiamo benissimo che la colpa non è nostra; amo gli uomini al punto tale che in passato ho dato loro riparo dai colpi di mortaio, dalle granate e dai proiettili permettendo loro di scavare tunnel, trincee e buche dentro la mia pancia. Finchè ho potuto li ho tenuti al caldo e lontani dalla morte ma la nulla ho potuto contro la loro stupidità; se fossero meno avidi e assetati di “gloria” avrei regalato metà del mio corpo agli austriaci e l’altra metà agli italiani senza fare distinzione. Invece mi ritrovo ridotta ad un cimitero di giovani che non hanno fatto altro che obbedire a stupidi ordini impartiti da stupidi uomini che credevano fosse facile vivere sulle mie pendici.

La Nera: voi Dolomiti siete sempre state forti in passato, avete subito attacchi feroci e ancora mostrate le vostre ferite a chi vi visita; ma nonostante ciò avete sempre dato riparo alla stupidità dell’uomo ed è forse per questo motivo che ancora oggi vi considerano le più belle montagne del pianeta. Noi invece siamo i rigidi controllori della “via verso il cielo”, ci considerano belle ma fredde, distaccate ed incapaci di donare calde emozioni come solo voi sapete donare.

La Rossa: non esistono montagne più belle e montagne meno belle, siamo montagne e come tali chiediamo rispetto; perdere la vita sulle nostre pendici o cadendo da un tetto è la stessa cosa. E’ la supponenza e il non osservare gli avvisi che mandiamo all’uomo che miete vittime e non le nostre altezze o i nostri strapiombi.

Sono i piccoli dettagli che fanno la differenza tra il tornare e casa e il non tornare e questi dettagli, se non considerati, diventano esponenzialmente enormi secondo dopo secondo.

Raggiungere una meta è sempre una sfida indipendentemente dalla grandezza dell’obiettivo ma la sfida deve essere giocata con intelligenza, con informazioni che ci permettano di scoprire i trabocchetti dell’avversario e che sicuramente incontreremo strada facendo.

In tanti hanno raggiunto la meta ma in pochi ne hanno apprezzato il vero valore, il vero senso, il sentirsi fieri della propria impresa da ricordare per tutta la vita tramandandola a figli e nipoti.

Ma oggi le mete si possono raggiungere con meno fatica di un tempo ed è facile dimenticare lo sforzo e il pericolo da affrontare; gli incidenti si susseguono sempre più velocemente ma non perché le montagne siano diventate più pericolose da affrontare, semplicemente si sta perdendo la capacità di affrontarle.

Siamo figli della generazione “abbiamo studiato più dei nostri genitori” e quindi non servono più i saggi consigli di un inutile anziano con le idee del giurassico; oggi i consigli si imparano su youtube e si sostituiscono alla pratica.

Ma voglio avere fiducia e arriverà il giorno in cui le persone non saliranno più a Punta Helbronner o al Rifugio Auronzo indossando mocassini o tacco 12 e minigonna…quel giorno saprò che l’uomo è riuscito ad imparare nuovamente ad ascoltare l’anima della roccia e del ghiaccio.

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